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dal settimanale Panorama |
L’ultima denuncia, presentata dalla Meridiana, è arrivata sul tavolo della Commissione europea il 19 luglio scorso. Il succo delle 18 pagine era chiaro: la società Valerio Catullo, che gestisce l’aeroporto di Verona, avvantaggia la Ryanair con un contributo di «circa 7 milioni di euro all’anno». Un «presunto aiuto di stato illegittimo», quasi 25 euro a passeggero trasportato. I funzionari di Bruxelles non hanno perso tempo: l’8 agosto è stata aperta un’istruttoria preliminare. A seguire una lettera ufficiale è stata inviata alla delegazione italiana nella capitale belga. Attivismo che probabilmente preluderà all’avvio di un’indagine per violazione delle norme comunitarie. Sarebbe l’ennesimo atto della sanguinosa guerra economica che da anni si combatte nei cieli italiani.
L’ultima vittima è caduta sul campo a metà agosto: la Wind Jet è stata costretta a bloccare i voli per insolvenza. Disfatta su cui proprio la regina mondiale dei vettori low cost ha poco elegantemente infierito: in un comunicato ha raccomandato di non prenotare voli «con compagnie aeree finanziariamente instabili». La sbruffoneria degli irlandesi del resto è nota. E, fra il disdoro degli scornati contendenti, va di pari passo con la loro prosperità aziendale, testimoniata anche dall’interesse per il business degli aeroporti: la Ryanair sarebbe in procinto di acquistare lo scalo londinese di Stansted.
Un successo dovuto all’ormai famosa strategia dell’ossessivo taglio dei costi, certo. Ma anche, sostengono gli avversari, a sostanziosi contributi ricevuti dai 22 scali italiani in cui la compagnia si è insediata. Sconti vari, ma soprattutto accordi commerciali: confidenziali, vaghi e onerosi. Alla Ryanair viene pagata una quota per viaggiatore stabilita per contratto. In cambio la compagnia si impegna a pubblicizzare lo scalo e, in qualche caso, gli enti territoriali. Soprattutto con banner che compaiono sul sito della compagnia. A sborsare, e ripianare eventuali perdite causate dal balzello, sono quasi sempre gli azionisti pubblici delle società di gestione: comuni, province, regioni. Come il Catullo, che per il 91 per cento è in mano a enti istituzionali.
Ma prima ancora che scoppiasse il caso Verona la Commissione europea aveva già piazzato una monumentale tegola sulla testa della Ryanair. Una nota ufficiale del 27 giugno del 2012 diramata da Bruxelles annunciava l’allargamento di un’altra inchiesta: quella avviata nel 2007 sull’aeroporto di Alghero dopo una denuncia dell’AirOne. La Sogeaal, che controlla lo scalo, avrebbe favorito gli irlandesi con i denari della Regione Sardegna, unico azionista della società. L’indagine si starebbe concentrando soprattutto sui 43 milioni di euro finiti nelle casse della compagnia dal 2001 a oggi. «Sulla base delle informazioni di cui dispone la Commissione» scrive Antoine Colombani, portavoce di Joaquín Almunia, commissario alla Concorrenza, «si dubita che tali misure siano state concesse a condizioni di mercato». Questo, aggiunge la nota «potrebbe avere apportato un indebito vantaggio economico sui concorrenti che operano senza sovvenzioni statali».
Michael Cawley, numero due della Ryanair, non ha prestato il fianco: «La Commissione ha aperto 18 indagini sulla nostra espansione in Europa. E da quando nel 2008 ha perso la causa su Charleroi, in Belgio, cerca di vendicarsi contro gli aeroporti low cost. È paradossale: invece di promuovere la concorrenza, la Commissione preferirebbe chiudere questi scali o fare aumentare le tariffe». Cawley suggella con minacce poco velate: «Se continueranno a infierire, saremo costretti a ridurre drasticamente la nostra presenza ad Alghero. E non solo».
Il caso sardo è diventato così un candelotto di dinamite che passa di mano in mano: pronto a esplodere da un momento all’altro. I vettori nazionali accusano gli irlandesi di slealtà, dimenticando però i miliardi di euro ricevuti dall’Alitalia fino al salvataggio del 2008. E la Ryanair, che è diventata la più grande compagnia aerea d’Europa, sostiene di avere permesso lo sviluppo di scali secondari, in cambio delle «noccioline» mai servite a bordo. In mezzo la Commissione europea, che deve accertare supposte violazioni del diritto comunitario.
In Italia, intanto, la Guardia di finanza sta investigando su una presunta evasione fiscale di mezzo miliardo di euro, tra il 2005 e il 2009, da parte della compagnia aerea, che paga le tasse nella conveniente Dublino piuttosto che nella vessatoria Roma. Non bastasse, ci si è messo pure l’ispettorato del lavoro di Bergamo, che contesta un’evasione per 12 milioni di euro: i dipendenti italiani della Ryanair, pur beneficiando del nostro sistema previdenziale, hanno contratti di lavoro irlandesi, che prevedono aliquote del 12 per cento. Un concentrato di guai su cui i concorrenti vogliono fare leva. L’Assaereo, la Confindustria dei cieli, all’inizio di agosto sottolineava «l’incredibile vantaggio competitivo di Ryanair per l’effetto combinato dell’esenzione dalle addizionali comunali, di prezzi stracciati per l’assistenza a terra e dei contributi commerciali. Il Paese non può più tollerare simili distorsioni: le regole devono valere per tutti».
Nella maggior parte dei casi, società di gestione, cittadini e politici perorano invece le pretese dei conquistadores irlandesi. Tutti ben felici di pagare sonanti euro per sentire squillare a ogni atterraggio l’ormai celebre «jingle-trombetta» della compagnia nordeuropea. E i manager aeroportuali fanno quadrato. I patti siglati sono protetti come segreti militari. A Orio al Serio, il più importante scalo italiano della Ryanair, silenzio assoluto e malcelato fastidio alla richiesta di Panorama sui termini dell’accordo. A Pisa, secondo hub per traffico, uguale riserbo. A Bari il direttore generale, Marco Franchini, cortesemente declina: «Quando le daranno le cifre i miei colleghi, lo farò anch’io».
Un’omertà che solo la Commissione europea è riuscita a scalfire ad Alghero, scalo gestito dalla Sogeaal. La società nel 2009 rischiava di andare a gambe all’aria per un buco da 12 milioni, che gli esborsi annuali alla Ryanair avevano contribuito a creare. Ma a ripianare il deficit ha pensato la regione. Adesso la Sogeaal versa al vettore low cost quasi 9,5 milioni di euro l’anno: oltre 12 euro a viaggiatore. Soldi comunque ben spesi, assicura Mario Peralda, direttore generale in carica da tre anni: «I 225 mila turisti che arrivano con Ryanair ogni anno spendono circa 30 milioni di euro. Se qualcuno mi spiega come fare fruttare un investimento del 300 per cento, accetto consigli. E comunque siamo pronti a offrire le stesse condizioni a chiunque ci garantisca uguale traffico ed efficienza».
Peralda ammette che, forse, dal punto di vista tecnico-legislativo qualche dubbio sul sostegno regionale potrebbe esserci: «Ma non si può innaffiare un alberello per 10 anni per poi sentirsi dire dal giardiniere che bisogna sradicarlo perché invece dell’acqua di fiume abbiamo usato quella di montagna». E, con un’altra metafora, suggella: «Qui si sta facendo una battaglia di principio: siamo il buco da dove entra il mare. Ma, se salta Alghero, salta tutto».
Ipotesi che, nemmeno tanto velatamente, farebbe la felicità dei rivali: Alitalia e Meridiana anzitutto. Il vettore sardo ha appena presentato un esposto alla Commissione europea sugli «aiuti concessi dalla società di gestione dello scalo di Verona in favore di Ryanair»: 4 euro di esenzione della tassa comunale, 3 di sconto sui servizi a terra e 17 di contributo commerciale. In totale, 25 euro a passeggero: 7 milioni di euro all’anno, ha quantificato la Meridiana. L’aeroporto scaligero è in profondo rosso: ha chiuso l’ultimo bilancio con 26 milioni di euro di perdita. Anche a causa degli onerosi impegni finanziari con gli irlandesi: «Soldi in cambio dei quali, almeno negli ultimi anni, la nostra destinazione non è mai stata pubblicizzata» rivela una fonte aziendale che chiede l’anonimato, viste le verifiche appena avviate dalla Commissione europea. La stessa persona aggiunge: «Quello è un contratto capestro, fuori da ogni logica di mercato».
In effetti, negli altri scali, la media, secondo quanto verificato da Panorama, sarebbe di una decina di euro a passeggero. Considerati tutti gli scali italiani, ogni anno la Ryanair incasserebbe 160 milioni solo con il marketing. Cifra impossibile da definire con esattezza visto il riserbo che protegge ogni accordo. Su quei 25 euro pagati nella città di Romeo e Giulietta la compagnia sarda ha però incardinato la sua denuncia. «Le cose sono due» spiega Alessandro Notari, direttore commerciale e azionista di Meridiana Fly e Air Italy. «O sono soldi che vengono dai guadagni sui vettori tradizionali oppure sono degli azionisti pubblici, quindi dei cittadini. E dunque: o le mie perdite stanno finanziando un concorrente in attivo oppure stanno ricreando un sistema di aiuti simile a quello degli anni passati».
Libero mercato in libero stato? Il motto potrebbe non essere stato osservato neppure negli aeroporti di Bari e Taranto, in Puglia, regione guidata da Nichi Vendola. Che pure quest’anno ha finanziato la Ryanair con 12 milioni di euro in cambio di una campagna di comunicazione «non convenzionale». E dunque in linea con l’estroso stile del governatore.
La crisi dell’industria italiana del volo è esplosa ad agosto con il caso
Wind Jet. Ma i segnali c’erano già in primavera: peccato non sia stato ancora convocato dal governo il tavolo di confronto richiesto fin dal maggio scorso dall’Assaereo, associazione confindustriale delle compagnie. Anche il presidente dell’Enac (l’ente che controlla il trasporto aereo) Vito Riggio ha lanciato l’allarme: tutto il settore «è
a rischio di scomparsa». Il caro carburanti sta dando un’ulteriore mazzata alle compagnie italiane, già provate dalla crisi economica che ha ridotto i passeggeri. Dai bilanci emerge che il gruppo
Alitalia ha ridotto la perdita l’anno scorso a 69 milioni (erano 168 nel 2010) mentre è esploso a 110 milioni il rosso del gruppo
Meridiana, che in precedenza aveva acquisito
Eurofly e
Air Italy.
Paradossalmente più contenuta la perdita della
Wind Jet: è per l’esattezza di 13,787 milioni, però nel dissesto c’è anche un debito stimato oltre 140 milioni. Inoltre va ricordato che il presidente della Wind Jet, Antonino Pulvirenti, per 10 milioni di euro nel 2009 ha venduto alla compagnia aerea il marchio fino allora detenuto attraverso la sua società
Meridi, attiva nei supermercati.
Sono più contenute le perdite di
Blue Panorama (5,5 milioni) e
Mistral Air, compagnia posseduta al 100 per cento dalle Poste, in rosso di 1,8 milioni su un fatturato di 110: «Abbiamo raddoppiato il giro d’affari rispetto al 2008 e contenuto la perdita che allora superava i 7 milioni» precisa Riccardo Sciolti, amministratore delegato della Mistral Air. Fanno eccezione al rosso la piccola
Belle Air Europe (da una perdita di 780 mila nel 2010 quest’anno registra un utile di 385 mila euro), lanciata in Italia dalla low cost albanese Belle Air, e la
Neos del gruppo Alpitour, che vanta un risultato positivo netto di 12,1 milioni su un fatturato lordo di 228. Un bilancio attivo ottenuto chiedendo un altissimo livello di produttività al personale, tanto che gli assistenti di volo sono soprannominati malignamente «Neuros».
«In Neos il personale navigante è rimasto quello di 10 anni fa, c’è un forte spirito di gruppo: vorremmo essere perfetti e non ci riusciamo» ribattono alla compagnia guidata da Lupo Rattazzi (che è anche presidente dell’Assoaereo). «Malgrado la crisi dei charter, vendiamo direttamente ai tour operator e stiamo recuperando sull’Egitto, abbiamo ripreso i voli per Tunisia e Turchia e andiamo anche in Giordania» aggiungono alla Neos.
Dopo anni di fallimenti e di salvataggi (come quello dell’AirOne assorbita nell’Alitalia) le compagnie aeree italiane più che di aiuti dallo Stato avrebbero bisogno di evitare la
concorrenza delle low cost per non andare fuori mercato. Il problema non esiste con la
EasyJet: la compagnia inglese applica le stesse regole fiscali e contrattuali degli operatori italiani e nel 2011 ha avuto il primato del numero di passeggeri sui voli low cost sia italiani, Milano Malpensa-Napoli, sia internazionali, Milano Malpensa-Parigi. Ma con la
Ryanair la questione è ormai diventata esplosiva.
di
Edmondo Rho