Vi proponiamo l'art. di Alberto Statera, che offre una ...rilettura del famoso esborso di € 120 milioni versati nella stiva dell'Alitalia, dietro richiesta di Silvio Berlusconi. Fatto strano, perchè, come giustamente fa notare Marcello Cometti, Riva non ha chiesto mai di riaprire l'aeroporto di Taranto (che farebbe tanto comodo ai suoi dipendenti), ne tanto meno aveva interessi a fare business con gli aerei: tutti sapevano che l'Alitalia era ed è in pessime acque).
gli articoli di Marcello Cometti sulla Gazzetta
a.statera@repubblìca.it
I "patrioti", alias
"capitani coraggiosi” o "cavalieri bianchi", selezionati quattro
anni fa per salvare l'Alitalia da Silvio Berlusconi e da Corrado Passera,
allora capo di Banca lntesa e oggi ministro delle Infrastrutture e dello
Sviluppo economico, se continua così potranno darsi appuntamento, in qualche
aula di giustizia o in qualche penitenziario. L'ultimo del club patriottico
vestale dell' "italianità " finito agli arresti per le accuse di
corruzione, concussione e associazione a delinquere, di nome non fa Silvio
Pellico, ma Emilio Riva, quel vecchio padrone delle ferriere che una quindicina
d'anni fasi prese l'acciaio di Stato dell'Ilva attraverso una delle tante
privatizzazioni "farlocche" (copyright Matteo Renzi) e che ha
continuato, secondo le accuse, ad avvelenare gli abitanti di Taranto.
Prima di lui era finito in ceppi
con l'accusa dì truffa aggravata Francesco Caltagìrone Bellavista, mentre
l'altro patriota Salvatore Ligresti le sue prigioni le aveva già fatte ai tempi
dì Tangentopoli e oggi è di nuovo indagato anche inseguito al dissesto del suo
gruppo. Ma è Riva, che le agiografie descrivono come un ex fattorino che sì è
fatto da sé da "rottamaio" a grande capitalista dell'acciaio, il più
patriota tra i venti patrioti che nel 2008 furono precettati da Berlusconi per
salvare l'Alitalia e sottrarla alle grinfie degli invasori d'Oltralpe.
Fu lui, infatti, che sborsò 120
milioni di euro per accollarsi il 10 per cento dell'ex Compagnia di bandiera,
divenendone il primo azionista italiano dopo Air France. E' vero che per uno
che con l'Ilva ha incamerato utili per miliardi in pochi anni quei milioni sono
un sacrificio tollerabile e che, alla fine, la folle operazione berlusconiana
l'abbiamo pagata tutti noi italiani. Ma che cosa ebbe allora in cambio l'ex
rottamaio di residuati bellici ben noto per il suo "braccino corto"?
Mentre la Cai, la nuova Alitalia
privata, va giù a precipizio, come segnala nel suo ultimo libro
("Banchieri & Compari") Gianni Dragoni, avendo mangiato in tre
anni quasi un miliardo e 200 milioni, si comincia a guardare alla strana storia
dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) rilasciata dal governo
Berlusconi all'Uva. Per concederla si batté come una leonessa l'allora ministra
dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo e qualcuno disse che fu disegnata su
misura come un tailleur sullo stabilimento di Taranto. La commissione Aia
incaricata di redigere il verdetto fu riempita dì ignoti personaggi soprattutto
siciliani, come la ministra, e presieduta da tale Fabio Ticalì un trentenne,
autore di una pubblicazione sul "ravaneto", che è nelle cave di
pietra quel luogo in pendenza dove si accumulano i detriti, che con l'aria alla
diossina di Taranto sembra non c'entri molto. Del resto, come dice in una
telefonata Fabio Riva, figlio del patron, due
casi di cancro in più che saranno mai, se non "una minchiata"?
Anche questa storia, tra le mille
dell'epoca berlusconiana, temiamoci riserverà altre nauseanti sorprese, tanto
che oltre alle singole inchieste andrebbe in vacato una sorta Gran Giurì su
tutte le nefandezze del berlusconìsmo. Intanto, per favore, nessuno osi più
chiamare patrioti i molti ceffi del capitalismo italico.
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