Berlusconi ci riprova. Gli è andata bene nel 2008, quando,
solleticando l'italianità e il nazionalismo degli italiani, riuscì a vincere le
elezioni e a farci sobbarcare 3 miliardi di debito della Alitalia pur di non
darla vinta a Prodi e ad AirFrance.
Mise su una cordata di "capitani coraggiosi", che
avrebbero difeso l'italianità dell'Alitalia. I capitani li conosciamo tutti,
sono: Riva, Colaninno, Benetton, Gavio, Tronchetti Provera, Ligresti, Mancuso
eccetera. Il tutto coordinato da Banca intesa del ministro Passera.
Come poi, è stato dimostrato, questi imprenditori non
avevano a cuore le sorti dell'Alitalia e dell'italianità, ma bensì ognuno
perseguiva un suo fine. Il nostro Riva, ha sborsato 120 milioni, per poter
arrivare all'AIA.
Ma i nostri imprenditori, non sono dei benefattori, anzi, in
questa operazione ci hanno guadagnato e ci guadagneranno il 20% (AirFrance riconoscerà
il 20% in più alle loro azioni"). Il 12 gennaio i nostri imprenditori
potranno rivendere le azioni, ovviamente le rivenderanno proprio ad AirFrance.
In questa operazione, chi già perso, sono gli italiani, che
a distanza di quattro anni si ritroveranno l'Alitalia svenduta (questa volta si
svenduta, ad AirFrance), con 3 miliardi in più sul groppone.
il libro di Gianni Dragoni |
dal "Fatto quotidiano":
Eppure secondo Silvio Berlusconi, il turismo italiano è appeso proprio all’italianità dell’Alitalia in queste settimana alla resa dei conti con oltre 600mila euro di perdite quotidiane, debiti che hanno superato quota 700 milioni e una cassa ridotta a 300 milioni, che rendono sempre più concreta la necessità di una ricapitalizzazione proprio alla vigilia della scadenza, per i soci entrati nel 2008, del divieto di vendere le loro azioni che fino ad oggi aveva bloccato Air France al 25% del capitale della compagnia. Difficile, del resto, rinunciare, al fortunato slogan elettorale che nel 2008 aveva contribuito a riportare il leader del Pdl a Palazzo Chigi dopo la caduta di Romano Prodi. Già, perché quella di Air France che ci vuole portare via Alitalia per deviare sui castelli della Loira le orde di cinesi, russi e indiani diretti a Roma non è un’uscita nuova per Berlusconi. ”E’ una follia rinunciare alla compagnia di bandiera. Si tratta di un disastro, ad esempio, nel settore del turismo che si dice crescerà del 50% rispetto ad ora, grazie anche ai nuovi ricchi di Paesi come Cina, India e Russia che desiderano visitare l’ Europa. E se si affidano ad Air France per un viaggio di 7 giorni pensate che ce li scarichino qui nelle nostre città dell’arte o li portino ai castelli della Loira?”, aveva per esempio dichiarato il 31 marzo 2008. Mancavano 12 giorni alle elezioni e il salvataggio della compagnia di bandiera era di stringente attualità, per il contribuente, per 18mila dipendenti del gruppo, per i creditori, ma anche per l’elettorato leghista molto sensibile alle sorti dello scalo lombardo di Malpensa.
Nel tira e molla elettorale e sindacale, il risultato era stato la fuga di Air France con la sua offerta di acquisto da 1,7 miliardi di euro che includeva l’accollo per i francesi dei debiti della compagnia, ma anche circa 1.600 esuberi. E, a seguire, l’operazione dei capitani coraggiosi del “sistema”guidati da Roberto Colaninno e finanziati dalla Banca Intesa di Corrado Passera che per rilevare il succo rimasto della compagnia ormai fallita, avevano messo sul piatto circa 600 milioni in meno dei francesi, senza farsi carico dei debiti della compagnia di bandiera e senza passare per una gara pubblica. A cascata, quindi, ai contribuenti è toccato pagare un conto complessivo stimato in una somma compresa tra 3 e 4 miliardi di euro, a 7mila dipendenti è toccata la cassa integrazione e i consumatori hanno dovuto fare i conti con gli effetti sulla concorrenza dell’inserimento nell’operazione Fenice della Air One di Carlo Toto. Quanto al flop turistico, oltre all’analisi delle tratte di Alitalia, c’è da ricordare che fino all’affermarsi dell’Alta Velocità buona parte del fatturato la compagnia lo faceva piuttosto portando i turisti da Milano a Roma e ritorno, senza contare il peso sui margini internazionali del segmento business.
“Invece di argomentare sulla eventuale acquisizione da parte di Air France potrebbe fare un atto concreto ed imprenditoriale: dichiari di voler partecipare egli stesso alla ricapitalizzazione di Alitalia”, ha replicato a Berlusconi il presidente dell’Avia (Assistenti di volo associati) Antonio Divietri. “Se Berlusconi acquisisse una rilevante quota di Alitalia dimostrerebbe di credere e dare seguito a quello che dice, rispetto alla necessità di avere un trasporto aereo italiano per aiutare il rilancio del nostro Paese”, ha aggiunto ricordando che “l’inadeguatezza del progetto capitani coraggiosi era evidente sin da principio ed i fatti lo hanno in breve dimostrato. Politiche commerciali erratiche ed erronee hanno generato conti in profondo rosso già in periodi ante crisi ed oggi i nodi vengono al pettine: in assenza di immediata ricapitalizzazione Alitalia fallisce. Gioverebbe una inchiesta che portasse alla luce quegli enti o persone fisiche che hanno tratto vantaggio in questa vicenda, noi conosciamo chi ha perso: cittadini e lavoratori”.
In effetti già cinque anni fa Berlusconi, che con la cavalcata della bandiera del turismo italiano da salvare si era guadagnato un nuovo posto al sole a Palazzo Chigi, come imprenditore, si era ben guardato dal partecipare all’affare, nonostante il 21 marzo del 2008 avesse ventilato ai microfoni di Sky Tg24la possibilità di un ingresso dei suoi figli nella partita (”ne ho parlato solo fuggevolmente con i miei figli, ma li conosco e so che sono fatti in una certa maniera e non si tirerebbero indietro se qualcuno chiedesse loro di unirsi ad un esercito di imprenditori anche perché non ci sarebbe nessun conflitto di interessi perché sarebbe solo un intervento ad adiuvandum”). Quanto ai 21 “patrioti” del 2008, tramontata (o mai nata) come sembra l’ipotesi di un nuovo salvataggio di Stato targato Ferrovie dello Stato, starebbero studiano l’aggregazione delle loro quote azionarie per rafforzare il fronte italiano.
Un’operazione che potrebbe essere gestita o da un fondo azionario o da un’azionista italiano del settore dei trasporti come il gruppo Benetton, già socio di Alitalia che per di più ha appena incassato il contratto di programma per Aeroporti di Roma con il relativo aumento delle tariffe. Non si può escludere a priori neanche un ruolo futuro per il fondo F2i di Vito Gamberale tanto attivo sul settore e legato a doppio filo sia con lo Stato via Cassa Depositi e Prestiti, sia con Intesa, che oltre ad essere azionista e creditore di Alitalia è anche tra gli sponsor del fondo dell’ex amministratore delegato di Autostrade. Sull’affare Alitalia, in ogni caso, l’ultima parola spetterà al futuro primo ministro. Sulla base del decreto legge 21 del 15 marzo 2012 (convertito in legge l’11 maggio 2012) il governo di Mario Monti ha infatti attribuito “al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di individuare le reti e gli impianti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per il settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e un potere di veto avverso qualsiasi delibera, atto o operazione, adottata a una società che detiene uno o più degli attivi individuati”.
da "Rai news":
Roma, 06-01-2013
Si scalda la partita per la vendita delle quote di Alitalia. Dal 12 gennaio infatti, con la scadenza del vincolo di lock up, i soci italiani potranno cedere le proprie azioni, e sia Air France che i 21 imprenditori della cordata tricolore studiano la situazione per le prossime mosse.
La compagnia francese, che detiene la maggioranza di Alitalia, avrebbe gia' messo a punto un'offerta che darebbe ai privati il 20% in piu' di quanto speso nel 2008. Sul fronte italiano, invece, si starebbe studiando la possibilita' di aggregare le quote dei 'patrioti' per consolidare l'italianita' della compagnia.
E sulla questione si interroga anche la politica. Silvio Berlusconi, che e' stato l'artefice dell'operazione Fenice, torna a chiedere che Alitalia resti italiana e non finisca nelle
mani dei francesi. Mentre Mario Monti sostiene che sul futuro di Alitalia "non ci sono posizioni astratte e dogmatiche": comunque "bisogna vedere quali alternative e quali sono le prospettive economico-finanziarie di Alitalia".
Air France, secondo il Messaggero, starebbe accelerando i tempi per acquistare la compagnia di cui detiene gia' il 25%. Parigi sarebbe disposta ad offrire un concambio pari a 1,6 che valorizzerebbe il pacchetto di Cai il 20% circa in piu' rispetto al costo d'acquisto e l'operazione, che dovrebbe concludersi entro l'estate. La valutazione, tuttavia, non troverebbe il favore di tutti i soci. Un'ipotesi che la compagnia di Jean
Cyril Spinetta si e' riservata pero' di non commentare.
Il 'sentiment' che arriva dagli azionisti italiani e' che non ci siano elementi per poter brindare: gia' nei mesi scorsi diversi soci si sono mostrati critici sul fatto che non si sia fatto molto per preservare il valore del capitale investito; e a questo si aggiunge la scarsa disponibilita' di Air France a riconoscere loro un premio di maggioranza.
Secondo fonti vicine al dossier, tuttavia, l'integrazione con Air France, sarebbe un naturale sviluppo delle cose ma non avrebbe tempi cosi' stretti. Tra l'altro, fino ad ottobre per vendere le quote serve l'ok del cda. La prossima riunione del consiglio e' intanto prevista per la fine di febbraio sui risultati annuali. La presunta accelerazione inoltre, sorprende i sindacati: la Uiltrasporti, che esprime forte preoccupazione
per la situazione economica e finanziaria della compagnia che va verso la ricapitalizzazione, fa sapere che chiedera' un incontro all'amministratore delegato Andrea Ragnetti.
Mentre l'Avia critica Berlusconi e lo invita a fare un atto concreto acquistando egli stesso una quota. Intanto dietro le quinte si starebbe studiando l'ipotesi di
aggregare le quote degli azionisti italiani (21 partecipazioni che vanno dal 16,6% di Riva allo 0,9% di Manes, Marcegaglia e Loris Fontana) consolidando l'italianita' e garantendo i piccoli: un'operazione che, a quanto si apprende, potrebbe essere gestita o da un fondo azionario o da un'azionista italiano del settore dei trasporti.
Difficile che si possa trattare di Ferrovie dello Stato (Alitalia ha smentito le voci
di un accordo), e c'e' chi pensa anche ad un coinvolgimento del Gruppo Benetton, che ha appena incassato il contratto di programma per Aeroporti di Roma.
dal sito "Italia dei valori" di Antonio Di Pietro:
Chi porta i turisti berlinesi a Roma? Alitalia? Errore. Klm o Air France che sulla tratta Roma-Berlino operano per conto della “compagnia di bandiera”. E i russi? Il 50% circa dei voli tra Mosca e Roma venduti dalla società di Roberto Colaninno e soci li fa Aeroflot. Va ancora peggio se si va più a est, con la tratta Pechino-Roma che Alitalia ha affidato ai partner francesi e olandesi. E il film è lo stesso se si guarda all’India, ma anche a sud, dove per andare da Abu Dhabi a Roma si può comprare il biglietto da Alitalia, ma si deve viaggiare con il partner Etihad o, peggio ancora, con Klm via Amsterdam. Non va meglio all’interno dei confini nazionali, dove da una parte sono appena stati ridotti (“temporaneamente”) i collegamenti con Bari e Brindisi, dall’altra Pisa e Ancona stanno facendo da apripista per il subappalto ai rumeni di Carpatair, che puntano a gestire il 10% della flotta della “compagnia di bandiera”.
Alitalia baluardo del turismo, la bufala di B. Tratte internazionali già in mani straniere
L'ex premier non molla lo slogan elettorale che tanto lo aveva aiutato nel 2008. Ma i fatti lo smentiscono. Sulle sorti della compagnia, in ogni caso, l'ultima parola spetterà al futuro primo ministro che grazie a una legge introdotta da Monti ha il diritto di veto su "qualsiasi delibera" riguardante settori strategici come i trasporti
Eppure secondo Silvio Berlusconi, il turismo italiano è appeso proprio all’italianità dell’Alitalia in queste settimana alla resa dei conti con oltre 600mila euro di perdite quotidiane, debiti che hanno superato quota 700 milioni e una cassa ridotta a 300 milioni, che rendono sempre più concreta la necessità di una ricapitalizzazione proprio alla vigilia della scadenza, per i soci entrati nel 2008, del divieto di vendere le loro azioni che fino ad oggi aveva bloccato Air France al 25% del capitale della compagnia. Difficile, del resto, rinunciare, al fortunato slogan elettorale che nel 2008 aveva contribuito a riportare il leader del Pdl a Palazzo Chigi dopo la caduta di Romano Prodi. Già, perché quella di Air France che ci vuole portare via Alitalia per deviare sui castelli della Loira le orde di cinesi, russi e indiani diretti a Roma non è un’uscita nuova per Berlusconi. ”E’ una follia rinunciare alla compagnia di bandiera. Si tratta di un disastro, ad esempio, nel settore del turismo che si dice crescerà del 50% rispetto ad ora, grazie anche ai nuovi ricchi di Paesi come Cina, India e Russia che desiderano visitare l’ Europa. E se si affidano ad Air France per un viaggio di 7 giorni pensate che ce li scarichino qui nelle nostre città dell’arte o li portino ai castelli della Loira?”, aveva per esempio dichiarato il 31 marzo 2008. Mancavano 12 giorni alle elezioni e il salvataggio della compagnia di bandiera era di stringente attualità, per il contribuente, per 18mila dipendenti del gruppo, per i creditori, ma anche per l’elettorato leghista molto sensibile alle sorti dello scalo lombardo di Malpensa.
Nel tira e molla elettorale e sindacale, il risultato era stato la fuga di Air France con la sua offerta di acquisto da 1,7 miliardi di euro che includeva l’accollo per i francesi dei debiti della compagnia, ma anche circa 1.600 esuberi. E, a seguire, l’operazione dei capitani coraggiosi del “sistema”guidati da Roberto Colaninno e finanziati dalla Banca Intesa di Corrado Passera che per rilevare il succo rimasto della compagnia ormai fallita, avevano messo sul piatto circa 600 milioni in meno dei francesi, senza farsi carico dei debiti della compagnia di bandiera e senza passare per una gara pubblica. A cascata, quindi, ai contribuenti è toccato pagare un conto complessivo stimato in una somma compresa tra 3 e 4 miliardi di euro, a 7mila dipendenti è toccata la cassa integrazione e i consumatori hanno dovuto fare i conti con gli effetti sulla concorrenza dell’inserimento nell’operazione Fenice della Air One di Carlo Toto. Quanto al flop turistico, oltre all’analisi delle tratte di Alitalia, c’è da ricordare che fino all’affermarsi dell’Alta Velocità buona parte del fatturato la compagnia lo faceva piuttosto portando i turisti da Milano a Roma e ritorno, senza contare il peso sui margini internazionali del segmento business.
“Invece di argomentare sulla eventuale acquisizione da parte di Air France potrebbe fare un atto concreto ed imprenditoriale: dichiari di voler partecipare egli stesso alla ricapitalizzazione di Alitalia”, ha replicato a Berlusconi il presidente dell’Avia (Assistenti di volo associati) Antonio Divietri. “Se Berlusconi acquisisse una rilevante quota di Alitalia dimostrerebbe di credere e dare seguito a quello che dice, rispetto alla necessità di avere un trasporto aereo italiano per aiutare il rilancio del nostro Paese”, ha aggiunto ricordando che “l’inadeguatezza del progetto capitani coraggiosi era evidente sin da principio ed i fatti lo hanno in breve dimostrato. Politiche commerciali erratiche ed erronee hanno generato conti in profondo rosso già in periodi ante crisi ed oggi i nodi vengono al pettine: in assenza di immediata ricapitalizzazione Alitalia fallisce. Gioverebbe una inchiesta che portasse alla luce quegli enti o persone fisiche che hanno tratto vantaggio in questa vicenda, noi conosciamo chi ha perso: cittadini e lavoratori”.
In effetti già cinque anni fa Berlusconi, che con la cavalcata della bandiera del turismo italiano da salvare si era guadagnato un nuovo posto al sole a Palazzo Chigi, come imprenditore, si era ben guardato dal partecipare all’affare, nonostante il 21 marzo del 2008 avesse ventilato ai microfoni di Sky Tg24la possibilità di un ingresso dei suoi figli nella partita (”ne ho parlato solo fuggevolmente con i miei figli, ma li conosco e so che sono fatti in una certa maniera e non si tirerebbero indietro se qualcuno chiedesse loro di unirsi ad un esercito di imprenditori anche perché non ci sarebbe nessun conflitto di interessi perché sarebbe solo un intervento ad adiuvandum”). Quanto ai 21 “patrioti” del 2008, tramontata (o mai nata) come sembra l’ipotesi di un nuovo salvataggio di Stato targato Ferrovie dello Stato, starebbero studiano l’aggregazione delle loro quote azionarie per rafforzare il fronte italiano.
Un’operazione che potrebbe essere gestita o da un fondo azionario o da un’azionista italiano del settore dei trasporti come il gruppo Benetton, già socio di Alitalia che per di più ha appena incassato il contratto di programma per Aeroporti di Roma con il relativo aumento delle tariffe. Non si può escludere a priori neanche un ruolo futuro per il fondo F2i di Vito Gamberale tanto attivo sul settore e legato a doppio filo sia con lo Stato via Cassa Depositi e Prestiti, sia con Intesa, che oltre ad essere azionista e creditore di Alitalia è anche tra gli sponsor del fondo dell’ex amministratore delegato di Autostrade. Sull’affare Alitalia, in ogni caso, l’ultima parola spetterà al futuro primo ministro. Sulla base del decreto legge 21 del 15 marzo 2012 (convertito in legge l’11 maggio 2012) il governo di Mario Monti ha infatti attribuito “al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di individuare le reti e gli impianti, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per il settore dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni e un potere di veto avverso qualsiasi delibera, atto o operazione, adottata a una società che detiene uno o più degli attivi individuati”.
da "Rai news":
Roma, 06-01-2013
Si scalda la partita per la vendita delle quote di Alitalia. Dal 12 gennaio infatti, con la scadenza del vincolo di lock up, i soci italiani potranno cedere le proprie azioni, e sia Air France che i 21 imprenditori della cordata tricolore studiano la situazione per le prossime mosse.
La compagnia francese, che detiene la maggioranza di Alitalia, avrebbe gia' messo a punto un'offerta che darebbe ai privati il 20% in piu' di quanto speso nel 2008. Sul fronte italiano, invece, si starebbe studiando la possibilita' di aggregare le quote dei 'patrioti' per consolidare l'italianita' della compagnia.
E sulla questione si interroga anche la politica. Silvio Berlusconi, che e' stato l'artefice dell'operazione Fenice, torna a chiedere che Alitalia resti italiana e non finisca nelle
mani dei francesi. Mentre Mario Monti sostiene che sul futuro di Alitalia "non ci sono posizioni astratte e dogmatiche": comunque "bisogna vedere quali alternative e quali sono le prospettive economico-finanziarie di Alitalia".
Air France, secondo il Messaggero, starebbe accelerando i tempi per acquistare la compagnia di cui detiene gia' il 25%. Parigi sarebbe disposta ad offrire un concambio pari a 1,6 che valorizzerebbe il pacchetto di Cai il 20% circa in piu' rispetto al costo d'acquisto e l'operazione, che dovrebbe concludersi entro l'estate. La valutazione, tuttavia, non troverebbe il favore di tutti i soci. Un'ipotesi che la compagnia di Jean
Cyril Spinetta si e' riservata pero' di non commentare.
Il 'sentiment' che arriva dagli azionisti italiani e' che non ci siano elementi per poter brindare: gia' nei mesi scorsi diversi soci si sono mostrati critici sul fatto che non si sia fatto molto per preservare il valore del capitale investito; e a questo si aggiunge la scarsa disponibilita' di Air France a riconoscere loro un premio di maggioranza.
Secondo fonti vicine al dossier, tuttavia, l'integrazione con Air France, sarebbe un naturale sviluppo delle cose ma non avrebbe tempi cosi' stretti. Tra l'altro, fino ad ottobre per vendere le quote serve l'ok del cda. La prossima riunione del consiglio e' intanto prevista per la fine di febbraio sui risultati annuali. La presunta accelerazione inoltre, sorprende i sindacati: la Uiltrasporti, che esprime forte preoccupazione
per la situazione economica e finanziaria della compagnia che va verso la ricapitalizzazione, fa sapere che chiedera' un incontro all'amministratore delegato Andrea Ragnetti.
Mentre l'Avia critica Berlusconi e lo invita a fare un atto concreto acquistando egli stesso una quota. Intanto dietro le quinte si starebbe studiando l'ipotesi di
aggregare le quote degli azionisti italiani (21 partecipazioni che vanno dal 16,6% di Riva allo 0,9% di Manes, Marcegaglia e Loris Fontana) consolidando l'italianita' e garantendo i piccoli: un'operazione che, a quanto si apprende, potrebbe essere gestita o da un fondo azionario o da un'azionista italiano del settore dei trasporti.
Difficile che si possa trattare di Ferrovie dello Stato (Alitalia ha smentito le voci
di un accordo), e c'e' chi pensa anche ad un coinvolgimento del Gruppo Benetton, che ha appena incassato il contratto di programma per Aeroporti di Roma.
dal sito "Italia dei valori" di Antonio Di Pietro:
30 Agosto 2008
Alitalia: i capitani coraggiosi
AutoreAntonio Borghesi
La cordata preannunciata da Berlusconi in campagna elettorale dopo tanti mesi è finalmente realtà. Voglio segnalare, affinché tutti li conoscano, un breve profilo di alcuni tra i “capitani coraggiosi” che piloteranno Alitalia fuori della crisi.
Roberto Colaninno
Da manager diventa imprenditore senza capitali. Conquista Telecom facendo debiti. Insieme a Gnutti e Consorte non hanno soldi necessari, ma agganci politici: le banche concedono mega prestiti milionari e con un sistema di scatole cinesi conquistano il 51% di Telecom. Hopa (controllata al 51% da Colaninno e Gnutti, con dentro Monte dei Paschi di Siena, Unipol e Fininvest, nel miglior spirito bipartisan) possiede il 56,6% di Bell (oscura società con sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo). Bell controlla il 13,9% di Olivetti, che possiede il 70% di Tecnost, che controlla il 52% di Telecom. Praticamente Colaninno e soci controllano Telecom detendone solo il 1,5%. C’è il dubbio che il controllo di Bell su Olivetti sia avvenuto per effetto di notizie riservate di Colaninno (reato di incidere trading, che tuttavia la Consob non ha accertato). Il Financial Times parla di “rapina in pieno giorno”. Telecom viene gestita così bene che dopo due anni affoga nei debiti, ma Colaninno riesce a venderla a Tronchetti Provera (Pirelli) e a Benetton, con una plusvalenza di 1,5 miliardi di Euro (praticamente esentasse). Naturalmente i veri sconfitti sono i piccoli azionisti della società. Nel 2005 la Consob lo condanna al pagamento di una sanzione per conflitto d’interessi.
Marco Tronchetti Provera
Subentra a Colaninno e lascia nel 2006 dopo aver causato danni disastrosi alla società (il titolo crolla) ed ai piccoli azionisti. Certo anche lui come azionista ci rimette (circa 100 milioni di euro), ma ne incassa 295, tra stipendi e stock options.
Carlo Toto
Parte dall’azienda di famiglia, la Toto costruzioni, che sotto la sua guida di Carlo negli anni '60 non perde una commessa da amministrazioni pubbliche (come le Ferrovie) ed enti locali abruzzesi. Carlo Toto è di casa all'Anas e piano piano passa dai semplici rifacimenti stradali alla costruzione di ponti, gallerie e corsie. Tutto fila liscio fino al 1981, quando lo arrestano con un funzionario Anas in una delle poche indagini pre-mani pulite. L'accusa per falso riguarda l'appalto del ponte sul fiume Comano (crollato nel giugno del 1980). Nel 1988 arriva la condanna in appello con i benefici di legge. Patteggia 11 mesi di condanna per le mazzette pagate per l'appalto di un mega-parcheggio. Nel giugno ‘94 comprò il suo primo Boeing a un fallimento per quattro milioni di dollari. Anche grazie a quel Boeing, che poi fu rimesso a nuovo dalle officine Lufthansa, Toto finì per firmare un preziosissimo accordo di partnership - era il 2000 - con la compagnia tedesca. Al matrimonio con Lufthansa Toto portava una dote ricca: Air One aveva occupato sistematicamente tutte le rotte nazionali «trascurate» da Alitalia. Quando tuttavia Toto si propone come acquirente di Alitalia, le banche che avrebbero dovuto sborsare 2 miliardi di euro, manifestano scarsa fiducia nell’operazione. Vanta una grande amicizia con il segreterio generale della Cisl Bonanni, uno di quelli che ha detto "no" all'accordo con Air France.
Francesco Bellavista Caltagirone
Lo troviamo socio di Hopa, sembra con i finanziamenti erogati dalla ex Popolare Lodi alla società off shore Maryland, utilizzata in passato anche per comprare Rcs e titoli della stessa Popolare Lodi. Risulta indagato nell' inchiesta sull' aggiotaggio Antonveneta. Insieme a Sergio Billè (già Presidente di Confcommercio) risulta coinvolto nelle vicende che riguardano il “furbetto del quartierino” Stefano Ricucci.
Gilberto Benetton
Partecipa con Tronchetti Provera all’operazione Telecom, acquistata da Colaninno. Nel 1999 acquista l’altra grande azienda pubblica privatizzata, cioè la società Autostrade. Anche in questo caso l’operazione avviene attraverso il debito, che poi dovrebbe essere pagato dalla nuova “gallina dalle uova d’oro” (Autostrade appunto). Nel 2005 la società insieme ad Argofin di Marcellino Gavio entra in Impregilo, alla vigilia della gara per il Ponte di Messina.
Marco Fossati
La Star è l’azienda storica della famiglia. La finanziaria Findim entra nel giro Telecom, quando Tronchetti Provera lascia. Si dichiara convinto che la società nei prossimi due anni migliorerà fortemente. Si fa portatore di un piano alternativo per il rilancio Telecom, che prevede l’ingresso nella società di Mediaset. Per convincere Silvio Berlusconi, Fossati ha addirittura portato Alierta (della spagnola Telefonica socia di telecom) ad Arcore appoggiandosi al lavoro diplomatico di Alejandro Agag, genero dell´ex premier spagnolo Aznar ed ex segretario del Ppe, e di Flavio Briatore, entrambi amici del Cavaliere. Gli stessi uomini che tre anni fa fiancheggiavano la scalata di Stefano Ricucci al Corriere della Sera. Ma intanto il titolo scende.
Marcellino Gavio
I suoi successi “autostradali” prendono le mosse dai rapporti politici, in particolare con il Partito Socialdemocratico di Romita e Nicolazzi. All’epoca del Ministro Prandini (pluricondannato) ottiene mille miliardi di appalti pubblici. Nel 1992 il suo amministratore delegato Bruno Binasco è stato imputato in processi per corruzione (è stato infine condannato insieme a Primo Greganti per finanziamento illecito ai partiti, nell'ambito dei processi di Mani Pulite). Su di lui nel 1992 fu spiccato un mandato di cattura, per presunte tangenti a Gianstefano Frigerio, segretario regionale DC, riguardo l'appalto per l'allargamento della Milano-Genova. Gavio si rifugiò all'estero, a Montecarlo, fino al settembre '93, fino a quando decise di presentarsi ai giudici di Milano, dove si salvò grazie alle solite prescrizioni. Interessanti le intercettazioni con il Ministro Lunari ed Emilio Fede: dimostrano il suo metodo di lavoro. Risulta indagato, insieme a Ugo Martinat, nelle vicende della Torino-Lione. Attraverso Argofin controlla un terzo di Impregilo, in cui entra poco prima dell’appalto per il Ponte di Messina.
Salvatore Ligresti
Chiacchierato per i suoi presunti rapporti con la mafia, è finito in carcere per l'inchiesta Mani Pulite e condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione. Speculatore su aree edificabili, di lui si sa che passava le mazzette direttamente a Craxi propria manu e che è stato più volte salvato dalle grandi banche, prone la potere politico. Il suo ex rivale in affari Berlusconi lo nomina nel luglio 2004 amministratore delegato della Rcs Media Group, che controlla il Corriere della Sera, guarda caso. Insieme a Gavio e Benetton è socio di Impregilo, coinvolta nella vicenda dell’appalto per il Ponte di Messina.
Salvatore Mancuso
Nel 2007 la sua nomina alla Presidenza del Banco di Sicilia, con il consenso di Totò Cuffaro e le congratulazioni di Francesco Musetto, viene salutata come un evento. Ma di li a poco dovrà dimettersi. Ma il suo fondo Equinox, con sede in Lussemburgo, è presente in molte operazioni discutibili. Così Mittel, finanziaria guidata da Giovanni Bazoli (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), e il fondo Equinox di Salvatore Mancuso hanno sottoscritto un accordo con Banca Mps e Banco Popolare, creditrici di Fingruppo, per liquidare in bonis Hopa, la società della galassia del finanziere bresciano Emilio Gnutti - finito in disgrazia in seguito alla calda estate dei furbetti del quartierino, anno 2005, quando fu coinvolto nella vicenda giudiziaria delle scalate bancarie e delle intercettazioni telefoniche - e degli imprenditori a lui vicini. Qualche giorno prima di partecipare alla cordata Alitalia acquista il 65% di Air Four, compagnia aerea executive con sede a Milano.
Claudio Sposito
E’ uno degli uomini chiave del salvataggio di Fininvest dal fallimento all’inizio deglia anni ’90.All’epoca operava come plenipotenziario italiano per conto della banca d’affari Morgan & Stanley ed il rapporto con Berlusconi divenne così solido che nel 1998 diventerà amministratore delegato di Fininvest. Nel 2003 ritroviamo Sposito ed il suo fondo Clessidra ad operare con Gnutti, Presidente di Hopa, con l’intervento di Mediobanca. Sposito controlla oggi ADR, che gestisce gli aeroporti di Roma.
Emilio Riva
E’ il re italiano dell’acciaio. Non è sconosciuto alla giustizia, che lo ha condannato per il reato di inquinamento della Ilva Siderurgica prima a Genova e ora a Taranto. Inoltre nel 2006 veniva riconosciuto colpevole di frode processuale e tentata violenza privata nei confronti di numerosi dipendenti di Taranto. Pene mai scontate grazie ai vari indulti e sconti. Il suo metodo di lavoro è la privatizzazione dei guadagni e la socializzazione delle perdite: In una lettera al Governo del 14 dicembre Emilio Riva avverte che l'eventuale riduzione delle emissioni di anidride carbonica comporterebbe "la necessità di fermare parte significativa degli impianti in uso. Il personale - afferma - colpito da tali riduzioni non potrebbe essere inferiore, anche nell'ipotesi più conservativa, alle quattromila unità".
Molti degli imprenditori coinvolti risultano legati dal “filo rosso” della vicenda Telecom, che dunque merita nuovi e ulteriori approfondimenti. Molti degli imprenditori sono stati condannati, in più di un caso per vicende di tangenti e corruzione. Quasi sempre hanno fatto i loro affari a debito, cioè grazie a prestiti delle banche. In particolare di una e così sono debitori di Banca Intesa. Sarebbe interessante conoscere l’entità del prestito. Non è che in realtà Banca intesa stia soltanto cercando di recuperare i suoi crediti? Molti di loro sono Cavalieri del Lavoro. Nel sito ufficiale si legge che “Gli imprenditori insigniti di questa onorificenza, dalla sua istituzione ai nostri giorni, rappresentano l'élite imprenditoriale del paese e che “L'Ordine al "Merito del Lavoro" premia l'insignito non solo per una specifica attività intrapresa, ma lo vincola ad un impegno etico e sociale volto al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro del paese”. Complimenti!
C’è qualcuno che si aspetta che imprenditori siano mossi dall’intento di rendere un servizio alla collettività?
C’è qualcuno che non pensa che, comunque vadano le cose, alla fine usciranno dalla vicenda con la loro brava e ingente plusvalenza?
Roberto Colaninno
Da manager diventa imprenditore senza capitali. Conquista Telecom facendo debiti. Insieme a Gnutti e Consorte non hanno soldi necessari, ma agganci politici: le banche concedono mega prestiti milionari e con un sistema di scatole cinesi conquistano il 51% di Telecom. Hopa (controllata al 51% da Colaninno e Gnutti, con dentro Monte dei Paschi di Siena, Unipol e Fininvest, nel miglior spirito bipartisan) possiede il 56,6% di Bell (oscura società con sede nel paradiso fiscale del Lussemburgo). Bell controlla il 13,9% di Olivetti, che possiede il 70% di Tecnost, che controlla il 52% di Telecom. Praticamente Colaninno e soci controllano Telecom detendone solo il 1,5%. C’è il dubbio che il controllo di Bell su Olivetti sia avvenuto per effetto di notizie riservate di Colaninno (reato di incidere trading, che tuttavia la Consob non ha accertato). Il Financial Times parla di “rapina in pieno giorno”. Telecom viene gestita così bene che dopo due anni affoga nei debiti, ma Colaninno riesce a venderla a Tronchetti Provera (Pirelli) e a Benetton, con una plusvalenza di 1,5 miliardi di Euro (praticamente esentasse). Naturalmente i veri sconfitti sono i piccoli azionisti della società. Nel 2005 la Consob lo condanna al pagamento di una sanzione per conflitto d’interessi.
Marco Tronchetti Provera
Subentra a Colaninno e lascia nel 2006 dopo aver causato danni disastrosi alla società (il titolo crolla) ed ai piccoli azionisti. Certo anche lui come azionista ci rimette (circa 100 milioni di euro), ma ne incassa 295, tra stipendi e stock options.
Carlo Toto
Parte dall’azienda di famiglia, la Toto costruzioni, che sotto la sua guida di Carlo negli anni '60 non perde una commessa da amministrazioni pubbliche (come le Ferrovie) ed enti locali abruzzesi. Carlo Toto è di casa all'Anas e piano piano passa dai semplici rifacimenti stradali alla costruzione di ponti, gallerie e corsie. Tutto fila liscio fino al 1981, quando lo arrestano con un funzionario Anas in una delle poche indagini pre-mani pulite. L'accusa per falso riguarda l'appalto del ponte sul fiume Comano (crollato nel giugno del 1980). Nel 1988 arriva la condanna in appello con i benefici di legge. Patteggia 11 mesi di condanna per le mazzette pagate per l'appalto di un mega-parcheggio. Nel giugno ‘94 comprò il suo primo Boeing a un fallimento per quattro milioni di dollari. Anche grazie a quel Boeing, che poi fu rimesso a nuovo dalle officine Lufthansa, Toto finì per firmare un preziosissimo accordo di partnership - era il 2000 - con la compagnia tedesca. Al matrimonio con Lufthansa Toto portava una dote ricca: Air One aveva occupato sistematicamente tutte le rotte nazionali «trascurate» da Alitalia. Quando tuttavia Toto si propone come acquirente di Alitalia, le banche che avrebbero dovuto sborsare 2 miliardi di euro, manifestano scarsa fiducia nell’operazione. Vanta una grande amicizia con il segreterio generale della Cisl Bonanni, uno di quelli che ha detto "no" all'accordo con Air France.
Francesco Bellavista Caltagirone
Lo troviamo socio di Hopa, sembra con i finanziamenti erogati dalla ex Popolare Lodi alla società off shore Maryland, utilizzata in passato anche per comprare Rcs e titoli della stessa Popolare Lodi. Risulta indagato nell' inchiesta sull' aggiotaggio Antonveneta. Insieme a Sergio Billè (già Presidente di Confcommercio) risulta coinvolto nelle vicende che riguardano il “furbetto del quartierino” Stefano Ricucci.
Gilberto Benetton
Partecipa con Tronchetti Provera all’operazione Telecom, acquistata da Colaninno. Nel 1999 acquista l’altra grande azienda pubblica privatizzata, cioè la società Autostrade. Anche in questo caso l’operazione avviene attraverso il debito, che poi dovrebbe essere pagato dalla nuova “gallina dalle uova d’oro” (Autostrade appunto). Nel 2005 la società insieme ad Argofin di Marcellino Gavio entra in Impregilo, alla vigilia della gara per il Ponte di Messina.
Marco Fossati
La Star è l’azienda storica della famiglia. La finanziaria Findim entra nel giro Telecom, quando Tronchetti Provera lascia. Si dichiara convinto che la società nei prossimi due anni migliorerà fortemente. Si fa portatore di un piano alternativo per il rilancio Telecom, che prevede l’ingresso nella società di Mediaset. Per convincere Silvio Berlusconi, Fossati ha addirittura portato Alierta (della spagnola Telefonica socia di telecom) ad Arcore appoggiandosi al lavoro diplomatico di Alejandro Agag, genero dell´ex premier spagnolo Aznar ed ex segretario del Ppe, e di Flavio Briatore, entrambi amici del Cavaliere. Gli stessi uomini che tre anni fa fiancheggiavano la scalata di Stefano Ricucci al Corriere della Sera. Ma intanto il titolo scende.
Marcellino Gavio
I suoi successi “autostradali” prendono le mosse dai rapporti politici, in particolare con il Partito Socialdemocratico di Romita e Nicolazzi. All’epoca del Ministro Prandini (pluricondannato) ottiene mille miliardi di appalti pubblici. Nel 1992 il suo amministratore delegato Bruno Binasco è stato imputato in processi per corruzione (è stato infine condannato insieme a Primo Greganti per finanziamento illecito ai partiti, nell'ambito dei processi di Mani Pulite). Su di lui nel 1992 fu spiccato un mandato di cattura, per presunte tangenti a Gianstefano Frigerio, segretario regionale DC, riguardo l'appalto per l'allargamento della Milano-Genova. Gavio si rifugiò all'estero, a Montecarlo, fino al settembre '93, fino a quando decise di presentarsi ai giudici di Milano, dove si salvò grazie alle solite prescrizioni. Interessanti le intercettazioni con il Ministro Lunari ed Emilio Fede: dimostrano il suo metodo di lavoro. Risulta indagato, insieme a Ugo Martinat, nelle vicende della Torino-Lione. Attraverso Argofin controlla un terzo di Impregilo, in cui entra poco prima dell’appalto per il Ponte di Messina.
Salvatore Ligresti
Chiacchierato per i suoi presunti rapporti con la mafia, è finito in carcere per l'inchiesta Mani Pulite e condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione. Speculatore su aree edificabili, di lui si sa che passava le mazzette direttamente a Craxi propria manu e che è stato più volte salvato dalle grandi banche, prone la potere politico. Il suo ex rivale in affari Berlusconi lo nomina nel luglio 2004 amministratore delegato della Rcs Media Group, che controlla il Corriere della Sera, guarda caso. Insieme a Gavio e Benetton è socio di Impregilo, coinvolta nella vicenda dell’appalto per il Ponte di Messina.
Salvatore Mancuso
Nel 2007 la sua nomina alla Presidenza del Banco di Sicilia, con il consenso di Totò Cuffaro e le congratulazioni di Francesco Musetto, viene salutata come un evento. Ma di li a poco dovrà dimettersi. Ma il suo fondo Equinox, con sede in Lussemburgo, è presente in molte operazioni discutibili. Così Mittel, finanziaria guidata da Giovanni Bazoli (presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo), e il fondo Equinox di Salvatore Mancuso hanno sottoscritto un accordo con Banca Mps e Banco Popolare, creditrici di Fingruppo, per liquidare in bonis Hopa, la società della galassia del finanziere bresciano Emilio Gnutti - finito in disgrazia in seguito alla calda estate dei furbetti del quartierino, anno 2005, quando fu coinvolto nella vicenda giudiziaria delle scalate bancarie e delle intercettazioni telefoniche - e degli imprenditori a lui vicini. Qualche giorno prima di partecipare alla cordata Alitalia acquista il 65% di Air Four, compagnia aerea executive con sede a Milano.
Claudio Sposito
E’ uno degli uomini chiave del salvataggio di Fininvest dal fallimento all’inizio deglia anni ’90.All’epoca operava come plenipotenziario italiano per conto della banca d’affari Morgan & Stanley ed il rapporto con Berlusconi divenne così solido che nel 1998 diventerà amministratore delegato di Fininvest. Nel 2003 ritroviamo Sposito ed il suo fondo Clessidra ad operare con Gnutti, Presidente di Hopa, con l’intervento di Mediobanca. Sposito controlla oggi ADR, che gestisce gli aeroporti di Roma.
Emilio Riva
E’ il re italiano dell’acciaio. Non è sconosciuto alla giustizia, che lo ha condannato per il reato di inquinamento della Ilva Siderurgica prima a Genova e ora a Taranto. Inoltre nel 2006 veniva riconosciuto colpevole di frode processuale e tentata violenza privata nei confronti di numerosi dipendenti di Taranto. Pene mai scontate grazie ai vari indulti e sconti. Il suo metodo di lavoro è la privatizzazione dei guadagni e la socializzazione delle perdite: In una lettera al Governo del 14 dicembre Emilio Riva avverte che l'eventuale riduzione delle emissioni di anidride carbonica comporterebbe "la necessità di fermare parte significativa degli impianti in uso. Il personale - afferma - colpito da tali riduzioni non potrebbe essere inferiore, anche nell'ipotesi più conservativa, alle quattromila unità".
Molti degli imprenditori coinvolti risultano legati dal “filo rosso” della vicenda Telecom, che dunque merita nuovi e ulteriori approfondimenti. Molti degli imprenditori sono stati condannati, in più di un caso per vicende di tangenti e corruzione. Quasi sempre hanno fatto i loro affari a debito, cioè grazie a prestiti delle banche. In particolare di una e così sono debitori di Banca Intesa. Sarebbe interessante conoscere l’entità del prestito. Non è che in realtà Banca intesa stia soltanto cercando di recuperare i suoi crediti? Molti di loro sono Cavalieri del Lavoro. Nel sito ufficiale si legge che “Gli imprenditori insigniti di questa onorificenza, dalla sua istituzione ai nostri giorni, rappresentano l'élite imprenditoriale del paese e che “L'Ordine al "Merito del Lavoro" premia l'insignito non solo per una specifica attività intrapresa, ma lo vincola ad un impegno etico e sociale volto al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro del paese”. Complimenti!
C’è qualcuno che si aspetta che imprenditori siano mossi dall’intento di rendere un servizio alla collettività?
C’è qualcuno che non pensa che, comunque vadano le cose, alla fine usciranno dalla vicenda con la loro brava e ingente plusvalenza?
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