NOMISMA apre, NOMISMA
chiude, NOMISMA riapre.
One
Works-Kpmg-Nomisma nel 2008 aveva previsto 3 milioni di possibili utenti per lo
scalo di Taranto, lo scorso anno ne aveva decretato la chiusura, oggi è più
cauta: “bisogna valutare l’effettiva esigenza”.
Lo avevo
detto in tempi non sospetti: “gli studi sono un po’ come le elezioni (tutti
vincono), ognuno interpreta i dati come gli pare”, il presidente dell’aeroporto
di Verona li definì: carta straccia.
Un effetto
però, questi studi, lo creano: orientare gli investimenti, anche quelli
stranieri.
Sotto se volete,
potete leggere l’articolo di Giorgio SANTILLI del Sole24ore.
È importante
che le scelte del Governo vengano fatte con totale obiettività e non con …soluzioni
stabilite “a tavolino” (vedi Brindisi ai danni di Taranto), e nell’ottica di
questa imparzialità che Grazzanise sostituisce Napoli e Viterbo Ciampino-Roma. Perché
lo sviluppo di un aeroporto dipende dagli spazi a disposizione e dalle azioni
di promozione che un “vero gestore” compie. L’unico aeroporto in Puglia che non
ha problemi di spazi è Taranto, però a Brindisi s’intende costruire un secondo
aeroporto.
Taranto è l’unico
aeroporto che non può chiudere perché è indispensabile per l’ALENIA (è l’unica
pista nel sud Italia dove può atterrare il Boeing DreamLiner) che nei prossimi
anni investirà 500 milioni.
Attendiamo
il nuovo modello tecnico funzionale per la gestione (imparziale) semplificata
messo a punto dall’ENAC.
Può restare chiuso un simile aeroporto?
Può restare chiuso un simile aeroporto?
Diciotto aeroporti
sul filo del rasoio
Un quadro chiaro dello sviluppo
aeroportuale italiano dagli attuali 149 milioni di passeggeri annui al 2030:
una crescita media annua del traffico del 3,2%, una razionalizzazione della
rete aeroportuale nazionale con 24 scali «principali» e 18 «di servizio», lo
sviluppo degli hub intercontinentali per superare il basso livello di
concentrazione del traffico italiano, investimenti che per le sole opere
finalizzate all'aumento della capacità degli scali strategici vale oltre 11
miliardi, richiesta al Governo che inserisca fra le priorità infrastrutturali i
collegamenti ferroviari tra scali e città (altro tema su cui siamo
clamorosamente indietro rispetto all'Europa).
Dopo oltre due anni di faticoso
cammino e di consultazioni istituzionali a tutti i livelli, arriva al traguardo
il piano nazionale degli aeroporti. Si era partiti da un «master plan» messo a
punto da One Works-Kpmg-Nomisma e coordinato da Giulio De Carli, si arriva ora
a un vero piano che è passato la settimana scorsa per un'informativa al consiglio
di amministrazione dell'Enac. Il viceministro delle Infrastrutture, Mario
Ciaccia, che ha ricevuto in queste ore la versione definitiva, ha già detto nei
giorni scorsi che il Governo lo adotterà presto come atto fondamentale della
politica infrastrutturale. Per la prima volta finalmente l'Italia avrà questo
strumento di programmazione che in Europa hanno tutti i Paesi più importanti e
che serve non solo per orientare le priorità nazionali ma anche come punto di riferimento per gli
investitori stranieri.
Il messaggio del piano è che la
domanda continuerà a crescere in Italia a ritmi pari o superiori al resto
d'Europa, mentre l'offerta resta bloccata in molti punti (basti pensare alle
defatiganti procedure per l'approvazione dei piani di investimento delle concessionarie).
Se non si interverrà entro dieci anni le strozzature bloccheranno la crescita.
E prima di dieci anni queste difficoltà si potranno avvertire su scali come
Fiumicino, Bergamo, Catania, Bologna, Firenze e Pisa. Se non si decide in
fretta su piani di sviluppo e sulle infrastrutture, la congestione frenerà il
sistema, con difficoltà crescenti anche per i passeggeri.
Ancora più che alla definizione
del quadro programmatico degli investimenti necessari, il piano nazionale degli
aeroporti serve per classificare gli scali in base alle loro potenzialità di
sviluppo. Rispetto alla prassi campanilistica che si è imposta in Italia, il piano deve fare ordine
rapidamente.
Sono anzitutto individuati 42
scali che faranno parte della rete nazionale. I 24 di «serie A» vengono divisi
in tre grandi hub intercontinentali (Fiumicino, Malpensa e Venezia), 13
«strategici» (Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova,
Lamezia Terme, Linate, Napoli Capodichino, Palermo, Pisa, Torino) e otto
«primari» (Alghero, Brindisi, Ciampino, Olbia, Trapani, Treviso, Trieste e
Verona). Con orizzonte 2030 saranno attivati due nuovi scali: Viterbo in sostituzione di
Ciampino e Grazzanise in sostituzione di Capodichino. Dopo anni di
battaglie, la questione sembra definitivamente risolta.
Più interessante la partita sui
18 scali di «serie B» (il documento dice «di servizio») che rispondono
prevalentemente a esigenze e fabbisogni di natura locale: Ancona, Aosta,
Brescia, Bolzano, Comiso, Crotone, Cuneo, Foggia, Forlì, Lampedusa,
Pantelleria, Parma, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rimini, Salerno, Taranto. Non è previsto, come
nelle prime versioni del documento, il sostanziale "invito" alla
chiusura.
Si danno invece tre anni per
verificare «condizioni di sostenibilità economiche che non prevedano
trasferimenti di risorse pubbliche per la gestione». Solo a quel punto, «per
quegli scali che non dimostrassero il riequilibrio economico-finanziario della
gestione e il raggiungimento di adeguati indici di solvibilità, dovranno essere
valutate opportune forme di coinvolgimento di capitali privati, anche
all'interno di progetti di sviluppo territoriale integrato, senza comunque
impegno di oneri a carico dei contribuenti». In sostanza, questi scali dovranno
sostenersi con una gestione economica o con contributi degli enti territoriali
e di privati. L'Enac
intanto definirà «un modello funzionale, tecnico e operativo» di gestione
semplificata per questi scali. di Giorgio Santilli
Nessun commento:
Posta un commento
chi lascia un commento si assume la responsabilità di quello che scrive.