venerdì 23 marzo 2012

AEROPORTO APERTO



NOMISMA apre, NOMISMA chiude, NOMISMA riapre.
One Works-Kpmg-Nomisma nel 2008 aveva previsto 3 milioni di possibili utenti per lo scalo di Taranto, lo scorso anno ne aveva decretato la chiusura, oggi è più cauta: “bisogna valutare l’effettiva esigenza”.
Lo avevo detto in tempi non sospetti: “gli studi sono un po’ come le elezioni (tutti vincono), ognuno interpreta i dati come gli pare”, il presidente dell’aeroporto di Verona li definì: carta straccia.
Un effetto però, questi studi, lo creano: orientare gli investimenti, anche quelli stranieri.
Sotto se volete, potete leggere l’articolo di Giorgio SANTILLI del Sole24ore.
È importante che le scelte del Governo vengano fatte con totale obiettività e non con …soluzioni stabilite “a tavolino” (vedi Brindisi ai danni di Taranto), e nell’ottica di questa imparzialità che Grazzanise sostituisce Napoli e Viterbo Ciampino-Roma. Perché lo sviluppo di un aeroporto dipende dagli spazi a disposizione e dalle azioni di promozione che un “vero gestore” compie. L’unico aeroporto in Puglia che non ha problemi di spazi è Taranto, però a Brindisi s’intende costruire un secondo aeroporto.
Taranto è l’unico aeroporto che non può chiudere perché è indispensabile per l’ALENIA (è l’unica pista nel sud Italia dove può atterrare il Boeing DreamLiner) che nei prossimi anni investirà 500 milioni.
Attendiamo il nuovo modello tecnico funzionale per la gestione (imparziale) semplificata messo a punto dall’ENAC.
Può restare chiuso un simile aeroporto?

Diciotto aeroporti sul filo del rasoio
Un quadro chiaro dello sviluppo aeroportuale italiano dagli attuali 149 milioni di passeggeri annui al 2030: una crescita media annua del traffico del 3,2%, una razionalizzazione della rete aeroportuale nazionale con 24 scali «principali» e 18 «di servizio», lo sviluppo degli hub intercontinentali per superare il basso livello di concentrazione del traffico italiano, investimenti che per le sole opere finalizzate all'aumento della capacità degli scali strategici vale oltre 11 miliardi, richiesta al Governo che inserisca fra le priorità infrastrutturali i collegamenti ferroviari tra scali e città (altro tema su cui siamo clamorosamente indietro rispetto all'Europa).
Dopo oltre due anni di faticoso cammino e di consultazioni istituzionali a tutti i livelli, arriva al traguardo il piano nazionale degli aeroporti. Si era partiti da un «master plan» messo a punto da One Works-Kpmg-Nomisma e coordinato da Giulio De Carli, si arriva ora a un vero piano che è passato la settimana scorsa per un'informativa al consiglio di amministrazione dell'Enac. Il viceministro delle Infrastrutture, Mario Ciaccia, che ha ricevuto in queste ore la versione definitiva, ha già detto nei giorni scorsi che il Governo lo adotterà presto come atto fondamentale della politica infrastrutturale. Per la prima volta finalmente l'Italia avrà questo strumento di programmazione che in Europa hanno tutti i Paesi più importanti e che serve non solo per orientare le priorità nazionali ma anche come punto di riferimento per gli investitori stranieri.
Il messaggio del piano è che la domanda continuerà a crescere in Italia a ritmi pari o superiori al resto d'Europa, mentre l'offerta resta bloccata in molti punti (basti pensare alle defatiganti procedure per l'approvazione dei piani di investimento delle concessionarie). Se non si interverrà entro dieci anni le strozzature bloccheranno la crescita. E prima di dieci anni queste difficoltà si potranno avvertire su scali come Fiumicino, Bergamo, Catania, Bologna, Firenze e Pisa. Se non si decide in fretta su piani di sviluppo e sulle infrastrutture, la congestione frenerà il sistema, con difficoltà crescenti anche per i passeggeri.
Ancora più che alla definizione del quadro programmatico degli investimenti necessari, il piano nazionale degli aeroporti serve per classificare gli scali in base alle loro potenzialità di sviluppo. Rispetto alla prassi campanilistica che si è imposta in Italia, il piano deve fare ordine rapidamente.
Sono anzitutto individuati 42 scali che faranno parte della rete nazionale. I 24 di «serie A» vengono divisi in tre grandi hub intercontinentali (Fiumicino, Malpensa e Venezia), 13 «strategici» (Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Lamezia Terme, Linate, Napoli Capodichino, Palermo, Pisa, Torino) e otto «primari» (Alghero, Brindisi, Ciampino, Olbia, Trapani, Treviso, Trieste e Verona). Con orizzonte 2030 saranno attivati due nuovi scali: Viterbo in sostituzione di Ciampino e Grazzanise in sostituzione di Capodichino. Dopo anni di battaglie, la questione sembra definitivamente risolta.
Più interessante la partita sui 18 scali di «serie B» (il documento dice «di servizio») che rispondono prevalentemente a esigenze e fabbisogni di natura locale: Ancona, Aosta, Brescia, Bolzano, Comiso, Crotone, Cuneo, Foggia, Forlì, Lampedusa, Pantelleria, Parma, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rimini, Salerno, Taranto. Non è previsto, come nelle prime versioni del documento, il sostanziale "invito" alla chiusura.
Si danno invece tre anni per verificare «condizioni di sostenibilità economiche che non prevedano trasferimenti di risorse pubbliche per la gestione». Solo a quel punto, «per quegli scali che non dimostrassero il riequilibrio economico-finanziario della gestione e il raggiungimento di adeguati indici di solvibilità, dovranno essere valutate opportune forme di coinvolgimento di capitali privati, anche all'interno di progetti di sviluppo territoriale integrato, senza comunque impegno di oneri a carico dei contribuenti». In sostanza, questi scali dovranno sostenersi con una gestione economica o con contributi degli enti territoriali e di privati. L'Enac intanto definirà «un modello funzionale, tecnico e operativo» di gestione semplificata per questi scali. di Giorgio Santilli

Nessun commento:

Posta un commento

chi lascia un commento si assume la responsabilità di quello che scrive.